Contratti di locazione nel D.L. Cura Italia: considerazioni sulla complicata applicazione della normativa nel rapporto conduttore-locatore.
Il diffondersi del Covid-19 sull’intero territorio nazionale ha generato non solo una grave emergenza sanitaria, ma anche un disastroso arresto dell’economia. Come è noto, le misure straordinarie adottate dal Governo e dalle Regioni hanno inciso pesantemente sulle attività di impresa, dato che, tra l'altro, è stata imposta la sospensione in tutto il territorio nazionale – sia pure con differenze derivanti dalle singole disposizioni regionali – di molte attività commerciali, industriali e professionali. Tali misure hanno avuto e stanno avendo un impatto drammatico sugli esercenti delle attività che devono necessariamente rimanere chiuse, seppure temporaneamente.
Particolare impatto è stato registrato in relazione alla problematica dei contratti di locazione, in quanto i conduttori degli immobili si sono visti inevitabilmente preclusa la possibilità di svolgere la propria attività d’impresa e, con essa, di trarre i proventi con cui onorare ai propri debiti, tra i quali quelli relativi ai contratti di locazione. Tra l’altro, il problema in esame si porrà nel prossimo futuro anche quando i conduttori potranno tornare ad usufruire pienamente dei locali una volta cessato il periodo dell'emergenza sanitaria e in particolar modo per tutti i conduttori di immobili ad uso commerciale, dato il probabile forte decremento di redditività che verranno a subire, sia per effetto delle misure di sicurezza che dovranno adottare (si pensi alle restrizioni delle modalità di fruizione dell’immobile come il distanziamento, l’accesso contingentato, le misure di igienizzazione, l’obbligo di dispositivi di protezione etc.), sia per l’inevitabile calo generale dei consumi.
La normativa introdotta dal legislatore a seguito dell’emergenza epidemiologica ha fornito finora alle parti coinvolte risposte parziali ed insoddisfacenti, come del resto è inevitabile se si considera che gli interessi in gioco sono tutti privati e la materia mal si presta ad un intervento da parte del legislatore. La panacea, pure invocata, del congelamento delle obbligazioni, appare utopistica ed iniqua, in quanto non farebbe altro che favorire i conduttori a danno dei proprietari, alimentando il gioco di accorciare una coperta che sembra sempre più corta.
Nello specifico, l’agevolazione prevista dall’art. 65 del D.L. 18/20 (Decreto Cura Italia) con cui è stato riconosciuto ai soggetti esercenti attività di impresa (solo in immobili rientranti nella categoria C1, esteso poi da una circolare dell’Agenzia delle Entrate anche alle pertinenze della categoria C3) un credito di imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo (solo) al mese di marzo 2020 non pare sia riuscita ad alleviare lo stress finanziario causato dalla chiusura forzata delle attività. Il provvedimento, per quanto utile a lenire l’impatto della crisi determinata dall’obbligo di chiusura dei locali in cui viene esercitata l’attività, riguarda solo una specifica categoria di immobili - lasciando fuori, ad esempio, uffici, magazzini, laboratori – ed opera per un periodo di tempo molto limitato, esaurendo i suoi effetti in ambito prettamente tributario. Inoltre, in assenza di specifica previsione nel citato articolo, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con una specifica circolare (la 8/E), prevedendo che il diritto alla fruizione del credito d'imposta da parte dell'affittuario scatta solo dopo il pagamento del canone di locazione riferito appunto alla mensilità di marzo. Al punto 3.1 della circolare l'Agenzia infatti interpreta la norma dicendo che la stessa “ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell'avvenuto pagamento del canone medesimo".
Tantomeno pare abbiano aiutato le disposizioni di cui al comma 6 dell’art. 103 del c.d. Decreto Cura Italia che hanno previsto la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, fino al 30 giugno, termine poi prolungato fino a settembre 2020, andando così a penalizzare quei proprietari che già avevano tra le mani una convalida di sfratto per morosità non riconducibile alla pandemia.
Ancora più nebulosa e di difficile applicazione pratica appare la norma di cui all'art. 91 sempre del c.d. Decreto Cura Italia, che, introducendo il nuovo comma 6-bis nell’art. 3 del D.L. 23 febbraio 2020 n. 6, ha previsto che “il rispetto delle misure di contenimento dell’epidemia è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Tale norma, infatti, assume un’importanza ridotta nel caso dei contratti di locazione commerciale, in quanto non introduce un esonero automatico del debitore da responsabilità per inadempimento, per effetto del contesto emergenziale in atto, ma si limita a rendere obbligatoria la considerazione, da parte dell’autorità giudiziaria, di tale contesto e delle relative limitazioni all’attività produttiva che ne conseguono, quali criteri di valutazione del comportamento del debitore.
E allora quali potrebbero essere gli strumenti giuridici a tutela dei locatori e dei conduttori?
Nelle ultime settimane hanno proliferato su riviste specializzate, siti d’informazione e quotidiani, contributi, articoli e approfondimenti relativi agli effetti dei provvedimenti governativi adottati per fronteggiare l’emergenza epidemiologica sui rapporti di locazione immobiliare e, in particolare, alla possibilità o meno per il conduttore (in particolare, per il conduttore commerciante) di esigere la sospensione o la riduzione del canone di locazione dell’immobile non utilizzato o non pienamente utilizzato, a causa della sospensione della propria attività d’impresa. Innanzitutto, bisogna evidenziare che l'eccezionalità della situazione che si è venuta a creare non ha precedenti e che, quindi, non esiste giurisprudenza di merito a riguardo. I rimedi da più parte potrebbero essere individuati negli istituti dell’impossibilità sopravvenuta e l’eccessiva onerosità della prestazione nei contratti a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1256 Codice Civile “l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile” e, se l’impossibilità di eseguire la prestazione è solo temporanea, “il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”. Nel caso di impossibilità parziale, l’art. 1258 Codice Civile prevede la liberazione del debitore con l’esecuzione della prestazione per la parte rimasta possibile. Invece, l’eccessiva onerosità sopravvenuta si realizza nel caso in cui un evento, straordinario e imprevedibile, estraneo alla normale alea del contratto, rende l’esecuzione della prestazione non impossibile, ma più onerosa rispetto a quanto prevedibile prima del verificarsi dell’evento stesso. Per i contratti a prestazioni corrispettive, l’istituto in esame è disciplinato dall’art. 1467 Codice Civile che contempla la possibilità per la parte obbligata, per la quale l’adempimento diventi eccessivamente gravoso, di domandare la risoluzione del contratto. La controparte contrattuale può evitare la risoluzione proponendo di modificare le condizioni dell’accordo (intervenendo sulla propria prestazione o su quella di controparte), in modo da ristabilire l’equilibrio del rapporto.
Inquadrati gli istituti giuridici teoricamente invocabili, verifichiamo l’applicabilità concreta a contratto di locazione: il conduttore è legittimato a invocare l’impossibilità sopravvenuta e/o l’eccessiva onerosità dell’obbligazione, per sospendere il pagamento del canone di locazione o ridurre l’ammontare dello stesso? A nostro parere, pur consapevoli dell’esistenza di un diverso filone di pensiero, la risposta è negativa.
Innanzitutto occorre rilevare che i provvedimenti amministrativi in oggetto non incidono in alcun modo sulla prestazione principale del locatore, che consiste nel mettere a disposizione del conduttore locali idonei all’esercizio dell’attività, e che nel rapporto sinallagmatico locatore-conduttore, il conduttore è legittimato alla sospensione o riduzione del canone di locazione unicamente in caso di inadempimento del locatore. Inoltre, è di tutta evidenza che, pur in presenza dei divieti di esercizio delle attività produttive e commerciali l’immobile locato, sebbene non accessibile a lavoratori e al pubblico, permane nell’esclusiva disponibilità del conduttore, che ivi custodisce beni e mezzi di produzione.
Ad oggi, nonostante la possibilità di instaurare comunque nuovi giudizi per ottenere un’ingiunzione di pagamento o un provvedimento di rilascio (di cui, come detto, al momento è sospesa solo l’esecuzione), non abbiamo molti interventi giurisprudenziali che diano chiarimenti ai tanti dubbi dei locatori e dei conduttori. Merita, però, di essere segnalato un provvedimento ex art. 700 C.P.C. del Tribunale di Venezia, in persona del Giudice D.ssa Daniela Bruni, con cui è stata ordinata la sospensione dell’escussione di una fideiussione bancaria rilasciata a garanzia di un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile adibito a pelletteria e da cui il conduttore, messo in ginocchio prima dall’alluvione che ha colpito la città veneta nel novembre 2019 e poi dalle restrizioni adottate per l’attuale emergenza sanitaria, aveva receduto unilateralmente e senza preavviso. È bene precisare che quello richiamato è un provvedimento emesso in via cautelare e che l’emergenza sanitaria non provoca ipso iure l’impossibilità della prestazione (che quindi va valutata caso per caso) per l’inquilino il quale, quindi, non può autoridurre o autosospendere il pagamento del canone e che, comunque, è rimasto nella disponibilità dell’immobile.
In conclusione, appare evidente come l’eccezionalità e la straordinarietà dell’emergenza in corso non possa essere risolta con gli ordinari strumenti giuridici previsti dall’ordinamento. Una possibilità concreta – e probabilmente quella principale - per i conduttori di ottenere una riduzione del canone, è quella della rinegoziazione del contratto basata sul principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c., che impone un controllo dell’equilibrio e della congruità delle prestazioni contrattuali e volta a distribuire tra le parti i costi di questa emergenza, con vantaggio reciproco per conduttori e locatori, per evitare il recesso dal rapporto contrattuale da parte del conduttore per gravi motivi. In ogni caso, anche in un’ottica deflattiva del contenzioso – che si annuncia molto consistente, non appena sarà terminata la sospensione dei procedimenti giudiziari – sarà importante il ruolo delle procedure di mediazione, nell’ambito delle quali spetterà agli avvocati il delicato compito di cercare un equo componimento dei diversi interessi in gioco.