Interessi moratori sui ritardati pagamenti dell'ASL dovuti alle Farmacie, la parola alle Sezioni Unite.
Con ordinanza di remissione al Primo Presidente della Cassazione per eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, pubblicata il 18/12/2019 (link), la terza sezione della Cassazione evidenzia il contrasto giurisprudenziale sorto in relazione alla possibilità di riconoscere alle farmacie, in ragione del ritardato pagamento da parte della ASL, gli interessi di cui al D.lgs. 231/02 così come modificato dal D.lgs. 192/12. Alla base del contrasto giurisprudenziale vi è la riconducibilità o meno del paradigma della "transazione commerciale" ai rapporti tra il Servizio Sanitario Nazionale e le farmacie. Si è arrivati a riconoscere la debenza degli interessi moratori/comunitari, inquadrando il rapporto tra il SSN e la farmacia come un contratto a favore di terzi, ovvero il fruitore del servizio sanitario pubblico, più precisamente un contratto a favore di terzi ad esecuzione continuata e a prestazioni corrispettive (Cass. 11/10/2016 n.20391). Altre decisioni, anche amministrative, hanno portato ad escludere la debenza degli interessi moratori alle farmacie, escludendo che l'erogazione dell'assistenza farmaceutica per conto delle ASL, potesse inquadrarsi nello schema della transazione commerciale ma, al contrario, fosse riconducibile ad una fonte legale ed amministrativa, richiamando l'art. 8 comma 2 del D.lgs. 502/1992 e l'accordo nazionale recepito con il d.P.R. 372/98 (Cass. 08/03/2017 n. 5796).
In attesa che le Sezioni Unite compongano il contrasto, va detto che l'assistenza farmaceutica, viene penalizzata da un'interpretazione delle leggi e dei relativi regolamenti assai discutibile. La configurabilità di una "transazione commerciale" piuttosto che di in "regolamento" che ha recepito e reso esecutivo l'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti tra le farmacie ed il SSN, per portare a riconoscere ovvero ad escludere il diritto agli interessi per il ritardato pagamento da parte della ASL sembra, in alcuni casi, più un esercizio "di stile" che altro.
La Corte di Giustizia Europea, da ultimo con la sentenza del 28/01/2020 (con la quale la Repubblica Italiana è stata nuovamente condannata per non aver “imposto” alle pubbliche amministrazioni il rispetto dei pagamenti previsti dalla direttiva 2011/7/UE) pare chiarire definitivamente un DOVERE dello Stato a TUTELARE IL CREDITORE della Pubblica Amministrazione.
D'altro canto, la Repubblica Italiana con D.lgs. 231/02 come modificato dal D.lgs. 192/12, ha recepito integralmente la Direttiva 2011/7/UE, senza poi curarne la conforme applicazione da parte di tutte le pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alla tutela del creditore privato, rispetto al debitore pubblico.
Tuttavia appare una contraddizione in termini affermare che "l'assistenza farmaceutica sia estranea al paradigma della transazione commerciale essendo riconducibile alla fonte legale amministrativa" (d.p.r. n. 371 del 1998), solo a voler tener conto che : "Un regolamento governativo, nell'ordinamento giuridico italiano, costituisce una fonte normativa secondaria e si colloca al di sotto delle fonti costituzionali e delle fonti primarie" (leggi ordinarie, atti aventi forza di legge, trattati internazionali e direttive e regolamenti dell'Unione Europea).
Avendo luogo alla risoluzione del contrasto tra norme (antinomia) la norma di rango superiore, nel nostro caso la direttiva 2011/7/UE , sarà preferita alla norma regolamentare (d.P.R. 371/98), quanto meno in relazione alle previsioni dell'art.8 che dispone, in caso di ritardo nel pagamento da parte della ASL, non potranno essere riconosciuti interessi superiori a quelli legali.
Dunque si potrebbe ritenere che la fonte regolamentare, che escluderebbe la sussistenza di una transazione commerciale tra le farmacie ed il SSN, sia, tuttavia, travolta dalla direttiva europea che riconosce gli interessi per il ritardato pagamento, con la conseguenza, inevitabile, che ove il SSN non provveda al pagamento nei termini, dovrà corrispondere gli interessi disciplinati dagli artt. 4 e 5 del D.lgs. 192/12.
L’esplicito riferimento della direttiva europea, come recepita dalla Repubblica Italiana, alla “transazione commerciale”, peraltro, appare essere stato specificato dall’art. 2 (definizioni) del d.lgs. 192/12 dove di legge :”Art. 2 (Definizioni). - 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) "transazioni commerciali": i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo."
Contratti comunque denominati, costituisce a parere di chi scrive, una estensione a tutti gli accordi, comunque denominati, che vadano a regolare la fornitura del servizio alla PA che, nel caso di specie, potrebbe individuarsi nell’accordo nazionale reso esecutivo dal DPR 371/98 regolamento che, anche in questo caso, andrebbe a “cedere il passo” alla fonte Primaria Comunitaria.
Con lo stesso ragionamento, ogni clausola contrattuale contraria allo spirito della direttiva comunitaria, come recepita dal più volte citato D.lgs. 192/12, troverebbe la sua nullità come prevista dall’art. 7 del predetto Decreto Legislativo: “«Art. 7(Nullita'). - 1. Le clausole relative al termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualunque titolo previste o introdotte nel contratto, sono nulle quando risultano gravemente inique in danno del creditore. Si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del Codice Civile.”.