Un caso di evidente incostituzionalità: Decreto Rilancio e la "nuova impignorabilità ex-lege" come fulgido esempio della "certezza" del diritto.
Era stato evidenziato da molti Colleghi che, già nella bozza del Decreto c.d. Rilancio, veniva previsto un comma, noto ai fornitori del SSN, che prevedeva l'impignorabilità dei crediti vantati nei confronti delle Aziende Sanitarie.
Nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 20/05/2020, al comma 4 dell'art. 117 è dato leggere: "Al fine di far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del COVID-19 nonché per assicurare al Servizio sanitario nazionale la liquidità necessaria allo svolgimento delle attività legate alla citata emergenza, compreso un tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale di cui all’articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni agli enti del proprio Servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del Servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità dei predetti enti legate alla gestione dell’emergenza sanitaria e al pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2020."
Parlavo di una disposizione già nota ai fornitori del SSN, perché con la legge 13 dicembre 2010, n. 220, articolo 1, comma 51 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2011), era stato previsto che: "Al fine di assicurare il regolare svolgimento dei pagamenti dei debiti oggetto della ricognizione di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per le regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e già commissariate alla data di entrata in vigore della presente legge, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2011. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo."
Tale disposizione legislativa fu sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 186 del 12 luglio 2013 ne dichiarò l'incostituzionalità evidenziando in particolare:
"4.−La questione è fondata.
4.1.− Questa Corte ha più volte affermato che un intervento legislativo − che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore − può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003) e, per altro verso, le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, determinandone l’estinzione, siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007).
Viceversa, la disposizione ora censurata, la cui durata nel tempo, inizialmente prevista per un anno, già è stata, con due provvedimenti di proroga adottati dal legislatore, differita di ulteriori due anni sino al 31 dicembre 2013, oltre a prevedere, nella attuale versione, la estinzione delle procedure esecutive iniziate e la contestuale cessazione del vincolo pignoratizio gravante sui beni bloccati ad istanza dei creditori delle aziende sanitarie ubicate nelle Regioni commissariate, con derivante e definitivo accollo, a carico degli esecutanti, della spese di esecuzione già affrontate, non prevede alcun meccanismo certo, quantomeno sotto il profilo di ordinate procedure concorsuali garantite da adeguata copertura finanziaria, in ordine alla soddisfazione delle posizioni sostanziali sottostanti ai titoli esecutivi inutilmente azionati.
4.2.− Essa, pertanto, si pone, in entrambe le sue versioni, in contrasto con l’art. 24 Cost. in quanto, in conseguenza della norma censurata, vengono vanificati gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai numerosi creditori delle aziende sanitarie procedenti nei giudizi esecutivi. Costoro non soltanto si trovano, in alcuni casi da più di un triennio, nella impossibilità di trarre dal titolo da loro conseguito l’utilità ad esso ordinariamente connessa, ma debbono, altresì, sopportare, in considerazione della automatica estinzione (o, nella versione precedente, della inefficacia) delle procedure esecutive già intraprese e della liberazione dal vincolo pignoratizio dei beni già asserviti alla procedura, i costi da loro anticipati per l’avvio della procedura stessa.
4.3.− Né, nel caso che interessa, si verifica la condizione che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rende legittimo il blocco delle azioni esecutive, cioè la previsione di un meccanismo di risanamento che, come detto, canalizzi in una unica procedura concorsuale le singole azioni esecutive, con meccanismi di tutela dei diritti dei creditori che non si rinvengono nei piani di rientro cui la disposizione fa riferimento, sicché la posizione sostanziale dei creditori trovi una modalità sostitutiva di soddisfazione. La disposizione in esame, infatti, non contiene la disciplina di tale tipo di procedura né identifica le risorse finanziarie da cui attingere per il suo eventuale svolgimento.
Va, altresì, considerata la circostanza che, con la disposizione censurata, il legislatore statale ha creato una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con violazione del principio della parità delle parti di cui all’art. 111 Cost.
4.4.− Non può, infine, valere a giustificare l’intervento legislativo censurato il fatto che questo possa essere ritenuto strumentale ad assicurare la continuità della erogazione delle funzioni essenziali connesse al servizio sanitario: infatti, a presidio di tale essenziale esigenza già risulta da tempo essere posta la previsione di cui all’art. 1, comma 5, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio assistenziale), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67, in base alla quale è assicurata la impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini della erogazione dei servizi sanitari.
Gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale dedotti dai rimettenti restano assorbiti."
Si crede opportuno far rilevare che il Giudice delle Leggi abbia sottolineato che la compromissione del diritto del creditore del SSN, a mezzo del provvedimento legislativo che inibisca il recupero coattivo delle somme, sia controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte.
Si deve concludere, dunque, che anche la "nuova impignorabilità" sia palesemente incostituzionale non potendosi ritenere soddisfatto il bilanciamento richiesto dalla Consulta nella laconica affermazione contenuta nel provvedimento in esame: "i quali possono disporre, per le finalità dei predetti enti legate alla gestione dell’emergenza sanitaria e al pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo."
La domanda che ci si deve porre è se, a fronte di una Sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo un provvedimento legislativo, sostanzialmente identico a quello che si commenta, debba essere necessario ricorrere nuovamente alla Consulta. Sugli effetti della pronuncia di incostituzionalità di una legge, la dottrina ha dibattuto e si è divisa, ma chi scrive ritiene che, ove si intenda rimuovere la disposizione di legge in commento, sarà inevitabile ricorrere nuovamente alla Corte Costituzionale, con buona pace per i principi di affidamento e certezza del diritto!