Le Sezioni Unite risolvono nodi interpretativi circa il tentativo obbligatorio di conciliazione per le telecomunicazioni.


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In tema di controversie tra società erogatrici del servizio di telecomunicazioni ed utenti finali non vi è l'obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione, da parte di chi intenda richiedere un provvedimento monitorio, atteso che nei procedimenti civili instaurati inaudita altera parte, o con contraddittorio differito, il tentativo di conciliazione preventivo risulta incompatibile con la natura del processo. Questo è il principio stabilito dalle sentenze della Suprema Corte di Cassazione pronunciate a Sezioni Unite, in funzione nomofilattica, n. 8240 e 8241 del 28.04.20, che hanno affrontato e risolto i dubbi interpretativi in materia, attesa la specificità della stessa e lo strumento giudiziario utilizzato (decreto ingiuntivo).

01/06/2020 | 12:00
Autore: Stefania Bevilacqua

La questione è arrivata al vaglio della Suprema Corte dopo che il Tribunale e la Corte di Appello di Roma avevano revocato il decreto ingiuntivo reso in favore di un operatore della telefonia nei confronti di clienti finali, con la declaratoria di improcedibilità della domanda per il mancato espletamento, prima del deposito del ricorso, del tentativo di conciliazione obbligatorio

Ebbene, le Sezioni Unite hanno ribaltato le decisioni di merito richiamando e confermando, invece, il principio espresso in precedenza da una sola sentenza di legittimità, precisamente la n. 25611/2016, con la quale gli Ermellini avevano già statuito che il ricorso monitorio, nelle materie riservate alle competenze dell’AGCOM, non è soggetto al previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione in quanto, diversamente, la fase sommaria verrebbe privata della sua utilità, risolvendosi in una mera dilazione dei tempi necessari a pervenire alla definizione del giudizio di merito, in contrasto con l’art. 111 della Costituzione. Stante la necessità di superare il contrasto giurisprudenziale causato dalla molteplici e discordanti pronunce dei Tribunali, le Sezioni Unite arrivano a confermare il principio sancito dalla sentenza del 2016, prendendo spunto dall’applicazione delle norme che regolano la materia specifica del contenzioso tra società erogatrici del servizio di telecomunicazioni ed utenti finali, ed in particolare l’art. 1 comma 11 della legge 249/97, che regola il tentativo di conciliazione extra giudiziale di controversie e che stabilisce la sospensione termini processuali:

"l’Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità." e la delibera AGCOM 173/07/CONS, che dispone l’adozione del regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti finali. Le Sezioni Unite ritengono che dalle norme richiamate non si possa ricavare alcun legittimo e univoco elemento volto a ritenere effettivo l’obbligo preventivo del tentativo di conciliazione per il procedimento monitorio che, per sua natura, è volto alla celerità in quanto supportato dalla presenza degli elementi della certezza, liquidità ed esigibilità del credito. Infatti, è evidente che l’obbligatorietà dell’esperimento del tentativo di conciliazione farebbe perdere a questo strumento giudiziario la sua vera finalità che è appunto la rapidità nel recupero del credito. A ciò si aggiunga che anche la mancanza di contraddittorio, sua propria caratteristica, mal si concilia con il tentativo obbligatorio di conciliazione, che al contrario, prevede necessariamente la compresenza di entrambe le parti. Pertanto, la Corte ha ritenuto di far prevalere l’esigenza di un processo, prima facie, agile ed essenziale, volto alla tutela del credito tout court, lasciando che la soluzione “conciliativa” della controversia si sposti in un momento successivo, cioè nel momento del giudizio di opposizione ad instaurarsi e dopo la pronuncia sull’istanza di sospensione o concessione di provvisoria esecuzione. 

Elemento caratterizzante della sentenza 8241/2020 è la statuizione, con un ragionamento logico e rispettoso dei principi di tutela giurisdizionali anche richiamati dall’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che il mancato esperimento del tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni dia luogo alla improcedibilità e non alla improponibilità della domanda: “è affermazione condivisa dalla dottrina che, in una prospettiva costituzionalmente orientata, la configurazione del tentativo di conciliazione come condizione di procedibilità costituisce un’opzione privilegiata perché consente di contemperare le finalità deflattive perseguite mediante le procedure di conciliazione con i principi costituzionali posti a presidio del diritto di difesa e della ragionevolezza stessa della previsione.” Quindi deve concludersi che, in pendenza del giudizio di opposizione, innanzi al mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 1 della legge 249/97 per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni, il giudice non deve concludere con una pronuncia di rito ma sospendere il giudizio e fissare il termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo, fatte salve le preclusioni già maturate e gli atti già compiuti. 

Possiamo concludere che le pronunce esaminate tendono ad eliminare una ulteriore tappa da superare, che la normativa italiana ha introdotto, prima di arrivare innanzi al giudice nel procedimento monitorio, con l’imposizione di ulteriori oneri alle parti, snaturando il carattere volontarietà che, al contrario, deve essere proprio della mediazione, come ribadito anche dalla Corte di Giustizia Europea. Speriamo che tale fine ultimo non si traduca, però, in un utilizzo sfrenato dello strumento del decreto ingiuntivo da parte delle società di telecomunicazioni che, in virtù di una posizione contrattuale di forza (economica), non costringano migliaia di utenti finali ad instaurare giudizi di opposizione comunque costosi ma altrettanto necessari per raggiungere la tanto agognata soluzione conciliativa.

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